Biblioteca Bernardini, 26 giugno – 30 settembre 2024
Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della scomparsa della studiosa,
una mostra multimediale itinerante tra Lecce, Montesano Salentino, Ruffano e Nardò.
Progetto a cura di Vincenzo Santoro realizzato in collaborazione fra Museo delle Civiltà, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e Polo Biblio-museale di Lecce.
«Le mie fotografie sono la realizzazione per immagini del ragionamento scientifico ed umano che in quel momento elabora la mia mente. Di conseguenza le operazioni mentali che determinano le mie fotografie sono evidentemente molto diverse da quelle di un fotografo, professionista o dilettante che sia, che documenta la stessa realtà. Qualche volta mi è capitato di lavorare con Ferdinando Scianna che mi ripete sempre che la differenza che c’è tra lui e me consiste nel fatto che io documento analiticamente, mentre lui tende a dare un’immagine sintetica dei fatti. È proprio così che io fotografo. Mi servo della fotografia per analizzare la realtà che studio; l’operazione di sintesi avviene dopo, in un ulteriore momento del mio lavoro al quale l’esame delle mie fotografie contribuisce notevolmente».
(L’antropologo e la fotografia: Annabella Rossi, in Photo 13, a. II, pp. 36-37, 1971)
Nella ricorrenza del quarantesimo anniversario della prematura scomparsa di Annabella Rossi, il Museo delle Civiltà (MuCiv) diretto da Andrea Viliani e l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI) diretto da Leandro Ventura, con il Polo Biblio-museale di Lecce diretto da Luigi De Luca e insieme ai Comuni di Montesano Salentino, Nardò e Ruffano, promuovono una mostra multimediale e itinerante a cura di Vincenzo Santoro in collaborazione con Stefania Baldinotti, che raccoglie i materiali di interesse etno-antropologico realizzati dall’antropologa, fotografa e documentarista nel Salento, a partire dalla partecipazione nel 1959 alle ricerche dirette da Ernesto de Martino in Puglia sul fenomeno del tarantismo.
Annabella Rossi è nata nel settembre del 1933 a Roma, città dov’è scomparsa nel marzo del 1984. La documentazione intorno a cui si articola la mostra Il Salento di Annabella Rossi. La ricerca visiva sul tarantismo e oltre ci restituisce materiali di ricerca raffinati e appassionanti, testimonianza di come, pioneristicamente, l’uso della macchina fotografica e della ripresa video e sonora siano stati un elemento integrale e caratterizzante del mestiere dell’antropologo e dell’indagine sul campo nelle esplorazioni etno-antropologiche in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un mestiere che ci consegna un ineguagliato fondo archivistico composto di documenti sonori, fotografici e cinematografici realizzati e raccolti dalla studiosa: parte delle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari del Museo delle Civiltà e oggetto di ricerca da parte dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, questi archivi vengono restituiti pubblico «con l’intento di “tornare a vedere” o “vedere per la prima volta”, ma in entrambi i casi con gli occhi del nuovo millennio, persone, paesaggi, contesti e situazioni irrimediabilmente dissolti dai mutamenti della contemporaneità o imprevedibilmente sopravvissuti nell’impercettibile radicamento del rito, del ricordo, del fare quotidiano». Il progetto è quindi l’esito delle pratiche di indagine di Annabella Rossi e della sua riflessione sul ruolo e la funzione della ricerca antropologica nello studio delle culture meridionali italiane, ma ne propone anche un’esperienza radicata nelle sensibilità e nelle istanze della contemporaneità.
I temi della mostra
Le forme della vita associata, della religiosità popolare e la cultura materiale del Meridione italiano, che trovano nuova voce nei volumi Le feste dei poveri (1969, Laterza, Bari) e Lettere da una tarantata (1970, De Donato, Bari), diventano iconiche e parlanti nel corpus documentario fotografico, filmico e sonoro realizzato per l’ex Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, con cui Rossi inizia a collaborare già dall’inizio degli anni Settanta e il cui patrimonio di manufatti e archivistico è confluito dal 2016 nelle collezioni del Museo delle Civiltà. Ed è proprio questa originale sensibilità di indagine, a partire dall’esperienza sul tarantismo, che ha aperto l’interesse della ricerca di Rossi verso ulteriori indagini sui mondi locali. Indagando in particolare, come nel caso del cosiddetto male di San Donato, le loro afflizioni e le loro specifiche strategie rituali di risoluzione, o documentando industriose attività artigiane, come la lavorazione della creta, e la pratica quasi esclusivamente femminile della lavorazione del tabacco. Un patrimonio di immagini e di conoscenza che la mostra vuole riportare nei luoghi da cui essa proviene, per stimolare una riflessione al contempo storicizzata e attuale sul portato valoriale della tradizione e del folclore, spesso ancora considerati tratti “pittoreschi”, “spettacolari” e non avvertiti, invece, come pratiche e forme di vita caratterizzanti intere comunità territoriali, nell’urgenza del proprio tempo storico.
I diversi capitoli della mostra
La mostra, concepita come un evento itinerante, toccherà, nella ricorrenza di particolari occasioni festive, i contesti più significativi attraversati dalla studiosa con il suo lavoro di ricerca, dando risalto alle specificità etnografiche di ciascun luogo.
Una mostra multimediale sarà allestita negli spazi della Biblioteca Bernardini (ex Convitto Palmieri) a Lecce – dal 26 giugno al 30 settembre – in cui le immagini fotografiche e filmiche del tarantismo salentino, raccolte in più riprese nell’esecuzione del rito domiciliare e presso la cappella di san Paolo a Galatina a partire dal 1959, saranno in dialogo con le testimonianze del tarantismo campano e inscritte tra le storie che raccontano visivamente le forme di vita contadina, espressione delle differenti comunità locali.
Dal 2 al 30 agosto a Montesano Salentino, Palazzo Bitonti, le forme cicliche di implorazione della grazia connesse alla richiesta di guarigione dal male di San Donato, saranno il focus dell’allestimento presso Palazzo Bitonti, che intende inaugurare un rinnovato interesse verso questo dolente quanto catartico rituale comunitario.
Dall’11 al 16 agosto un’ulteriore esposizione a Casa Callisto Santuario di San Rocco a Torre Paduli riguarderà Ruffano, paese natale di Michela Margiotta, contadina nata nel 1898 e affetta dal male di San Paolo e dal male di San Donato, che Rossi segue nelle pratiche devozionali e con cui intrattiene una fitta corrispondenza epistolare, straordinaria restituzione diretta di un mondo culturale in estinzione e della fatica di raccontarlo, con le vivide testimonianze di questo incontro e lo scorrere della vita sociale, tra l’antica fiera di San Marco e l’arte dei figuli con la lavorazione della creta.
Dal 2 al 15 settembre a Nardò, presso il chiostro dell’ex Convento dei Carmelitani, si conclude l’itinerario sulla riflessione antropologica di Rossi nel Salentoaccordando significativo rilievo alla documentazione – fotografica, filmica e sonora – concernente la terapia domiciliare del tarantismo, espressione sia coreutica che musicale, in particolare seguendo l’orchestrina capitanata da Luigi Stifani, violinista-barbiere neretino, in casa di una giovane donna tarantata che prende nome di Maria nella miliare monografia che fu l’esito dell’indagine sul campo condotta da Ernesto de Martino (con immagini del 1960) e nella dimora di un tarantato nel 1978, in quella che risulta una delle ultime coerenti testimonianze di un rito giunto alla sua fase terminale.
«Fotografie, registrazioni sonore e riprese, a volte inedite, – scrive Stefania Baldinotti dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale – racconteranno al pubblico un’Italia lontana nel tempo, fermata nei gesti e negli sguardi di uomini, donne e bambini, inchiodati dalla fatica di vivere “legati ad una agricoltura preindustriale, a un artigianato moribondo, a una manovalanza di sfruttamento”, portatori di quella cultura che la Rossi chiamava “cultura della miseria” e contro la quale decise di schierarsi con la sua opera di ricercatrice e studiosa, seguendo il paradigma del suo maestro, Ernesto de Martino, incontrato la prima volta nel 1959 e subito seguito nella celeberrima spedizione in Salento che svelò all’Italia sul margine del boom economico, quella “terra del rimorso”, dove per guarire dal morso del ragno, solo la musica era il medicamento e solo il ballo la terapia».