Pascali aveva questa grande tensione per il fatto materico,
per le materie,per le trasformazioni, per gli interventi chimici.
Era un’ossessione personale che lo rendeva affascinante: uno stregone. […]
Lo rimproveravo perché quello che io insegnavo ad usare
come mezzo – l’osservare la materia – per lui era un fine.
[Toti Scialoja intervistato da F. Alfano Miglietti,
in «Flash Art», n. 143, marzo – aprile 1988]
Dal 9 novembre è aperta al pubblico al Kursaal Santalucia a Bari la mostra Pino Pascali Toti Scialoja. Confluenze, curata da Federica Boragina e Eloisa Morra con Antonio Frugis. Promosso da Fondazione Pino Pascali e dal Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia, insieme alla Casa editrice Electa, Pino Pascali Toti Scialoja. Confluenze è la prima mostra dedicata a Pino Pascali a Bari dal 1981, omaggio e celebrazione del grande artista pugliese, riconosciuto a livello internazionale e le cui opere sono presenti nelle più grandi collezioni al mondo.
L’esposizione segna il primo appuntamento di una sinergia integrata tra Fondazione Pascali, Regione Puglia ed Electa, nell’intento di promuovere un palinsesto di iniziative per la valorizzazione della figura di Pino Pascali, in relazione agli artisti che lo hanno ispirato o con cui ha collaborato. La mostra è realizzata con la partecipazione della Fondazione Toti Scialoja di Roma.
Le sale del Kursaal Santalucia di Bari, restituito alla città nel 2021 grazie a un progetto virtuoso di restauro voluto e coordinato da Regione Puglia, ospitano un itinerario visivo in grado di restituire per la prima volta il dialogo personale e artistico fra Toti Scialoja e Pino Pascali, protagonisti delle vicende artistiche italiane degli anni Cinquanta e Sessanta. Il percorso espositivo, articolato in cinque sezioni e 115 opere tra dipinti, sculture, documenti e video, mette in luce le sperimentazioni nate da ispirazioni condivise, rendendo tangibile una sorprendente serie di corrispondenze tra temi e immaginari.
L’incontro fra Pascali e Scialoja avviene nelle aule dell’Accademia di Belle Arti di Roma in
via Ripetta, dove l’artista pugliese si iscrive nel 1955 e dove Scialoja è il titolare del corso di scenotecnica, tra i docenti meno accademici e più apprezzati. A questa altezza cronologica Scialoja è un artista già noto e affermato, in contatto con il panorama artistico internazionale e invita i suoi giovani allievi a sperimentare senza riserve nonché a confrontarsi con i linguaggi contemporanei. Pascali, poco più che ventenne, è fra gli allievi più ricettivi e dalla frequentazione delle lezioni di Scialoja derivano visioni inaspettate e cariche di vitalità, specchio di quell’irrequieta fascinazione per la materia ereditata dal suo maestro e ampiamente documentata nella prima sezione.
Ad avvicinare i percorsi di Scialoja e Pascali è, inoltre, la comune curiosità riservata all’America e al rinnovamento impresso alla tradizione europea dalla cultura d’oltreoceano, oggetto della seconda sezione della mostra, dove trovano spazio le celebri impronte di Scialoja e le sperimentazioni pop di Pascali.
Non secondarie sono poi le rispettive esperienze teatrali, viatico ai linguaggi dinamici della televisione e della pubblicità, esplorati con ampiezza nella terza sezione del percorso. È Scialoja — complice un’esperienza teatrale iniziata negli anni Quaranta e protrattasi per decenni — a far entrare in contatto Pascali col teatro d’avanguardia, delineando uno spazio scenico volto a costruire una seconda realtà, illusoria e antinaturalistica. Riflessioni che Pascali ha modo di sviluppare prima nelle tesine redatte in Accademia, poi, in modi diversi, nei lavori per la pubblicità, dai quali emerge uno spiccato interesse per la performance (non mancano casi in cui Pascali stesso interpreta in prima persona alcuni personaggi, come negli spot per la Cirio).
Ulteriori confluenze si rintracciano nella comune fascinazione per il mondo animale a cui è dedicata la quarta sezione. Sin dagli anni Sessanta, infatti, ragni, balene, giraffe e ghepardi divengono protagonisti della poesia del ‘senso perso’ di Scialoja, corredata da disegni dal tocco zen, e si ritrovano nell’Arca di Noè ingrandita delle celebri ‘finte sculture’ di Pascali, appassionato lettore di romanzi d’avventure e filastrocche. Nascono così due bestiari antinaturalistici, irriverenti e spiazzanti, che non smettono di parlarsi l’un l’altro per via della comune attitudine alla giocosità e all’approccio metafisico all’esistenza.
A concludere il percorso l’omaggio di entrambi per i luoghi del Mediterraneo, quali Procida e Polignano, geografie sentimentali e creative mai dimenticate.
Istruzioni per l’uso
Pino Pascali Toti Scialoja. Confluenze propone un itinerario visivo volto a restituire, per la prima volta e nella sua interezza, il dialogo personale e artistico fra due assoluti protagonisti delle vicende artistiche italiane degli anni cinquanta e sessanta, Pino Pascali (1935-1968) e Toti Scialoja (1914-1998), rintracciando le sperimentazioni nate da ispirazioni condivise e rendendo tangibile una sorprendente serie di corrispondenze tra temi, processi e immaginari.
L’incontro fra Pascali e Scialoja avviene a Roma, nelle aule dell’Accademia di Belle Arti, dove l’artista pugliese si iscrive nel 1955 e dove Scialoja era il titolare della cattedra di scenotecnica, tra i docenti meno accademici e più ammirati.
Nella seconda metà degli anni cinquanta Scialoja è un artista affermato, ha una decennale esperienza nella progettazione scenografica per il teatro, è in contatto con il panorama artistico internazionale, espone negli Stati Uniti e lì si confronta con l’espressionismo americano e i fermenti del new dada. L’incessante ricerca maturata in ambito pittorico e teatrale si riversa con generosità nell’innovativa pratica didattica che invita i giovani artisti a confrontarsi col contemporaneo, mediante lezioni sul collage, sperimentazioni con nuovi materiali e visite alle mostre all’avanguardia che il panorama nazionale e la Capitale ospitano in questi anni.
L’artista pugliese è fra i più ricettivi e curiosi allievi di Scialoja. Creativo, irrequieto e animato da una febbrile voglia di sperimentazione, si confronta con la fascinazione per la materia pittorica e guarda agli orizzonti d’oltreoceano come a un miraggio per ricercare nuovi stimoli e maturare una lettura critica dei linguaggi dell’arte che si stavano inverando in un panorama straordinariamente fertile.
Pittura e suggestioni americane, dunque, quali contrappunti di questo dialogo fra Pascali e Scialoja, ulteriormente rintracciabile nelle rispettive esperienze teatrali, viatico ai linguaggi dinamici della televisione e della pubblicità, esplorati da entrambi in momenti diversi. Inaspettate confluenze emergono infine da condivisi immaginari visivi e narrativi: dalla comune fascinazione per il mondo animale, il gioco e l’ironia, alla mediterraneità, Capri, Procida, Polignano e la Puglia, luoghi di affezione sentimentale per entrambi.
Cinque sono i nuclei tematici che disegnano un percorso inedito e suggestivo, capace di restituire una visione integrata e plurale del fare artistico che porta Pascali e Scialoja ad aprirsi a sperimentazioni intermediali e a collaborazioni interartistiche. (Federica Boragina, Eloisa Morra, Antonio Frugis)
Biografie brevi
Pino Pascali (1935-1968) è protagonista di una carriera breve e folgorante. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1959, lavora con successo come scenografo, realizzando bozzetti, disegni e “corti” per “Carosello” e altre trasmissioni tv. Nel 1965 ha la sua prima personale a Roma presso la galleria “La Tartaruga” e, in soli tre anni è riconosciuto dai maggior critici d’arte e da galleristi d’avanguardia. Nel 1968 partecipa con una sala personale alla XXXIV Biennale di Venezia, ma nell’ottobre dello stesso anno, muore prematuramente in un tragico incidente. Scultore, scenografo, performer, Pascali ha saputo coniugare in modo geniale e creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee con le forme infantili e ironiche del gioco, precorrendo l’Arte Povera, la Body Art, l’arte concettuale degli anni settanta.
Toti Scialoja (1914 – 1998), abbandonati gli studi di giurisprudenza, nel 1937 si dedica esclusivamente alla pittura. Nel 1939 espone alla III Quadriennale di Roma e nel 1941 tiene una personale alla Società Amici dell’Arte di Torino. Prende parte attiva alla Resistenza e lavora anche per il teatro, realizzando nel 1943 le sue prime scenografie. In contatto con la cultura artistica europea, sperimenta una ricerca di matrice neo-cubista e, dopo il viaggio negli Stati Uniti nel 1956 si concentra sul colore, la materia e il gesto. Numerose sono nel frattempo le sue partecipazioni a importanti rassegne sia nazionali che internazionali. Partecipa alla Biennale di Venezia del 1964. Gli anni settanta segnano un periodo di scarsa operosità artistica, che riprende nuovamente dal 1983. Oltre che pittore Scialoja è stato poeta, scrittore, scenografo e docente all’Accademia di Belle Arti di Roma, di cui fu direttore per un lungo periodo.
Testi istituzionali
Aldo Patruno
Direttore del Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del Territorio della Regione Puglia
Mai titolo di progetto fu così profondamente efficace come “Confluenze”, il format della Fondazione di Regione Puglia per le arti e i linguaggi contemporanei Pino Pascali, dedicato ad artisti che hanno incrociato la vita, la storia e l’opera dell’artista, innescando relazioni e congiunture straordinarie, spesso inesplorate. Proprio come nella sua opera Confluenze (1967), cui il format è evidentemente ispirato, in cui i due corsi d’acqua tendono a incontrarsi all’orizzonte, pur essendo racchiusi in contenitori che sembrerebbero impedirlo.
Dopo Lo Spazio, il Vuoto, l’Orizzonte di Maurizio Mochetti e L’Enigma e il segreto di Vettor Pisani, in una rigorosa alternanza tra artisti non-pugliesi e artisti pugliesi, oggi tocca alle Confluenze di Toti Scialoja con Pino Pascali o, meglio, di Pino Pascali con Toti Scialoja, se si intende assumere la relazione “accademica” tra il maestro e l’allievo che in realtà il progetto espositivo riconduce a un più pertinente “contrappunto creativo” da rintracciare spesso nelle storie individuali dei due artisti.
“Confluenze” in primo luogo verso la scenografia e, dunque, il Teatro, in cui il mezzo espressivo – evidenzia lo stesso Scialoja – è “l’uomo. L’uomo che appare agli altri”. E, dunque, “confluenze” verso l’“umanizzazione”, la centralità della “presenza umana”, quale “funzione nuova, diversa” di tutte le arti. Ecco il perché di questo grande progetto espositivo in un teatro a Bari, nel Kursaal Santalucia, tra i pochi teatri di proprietà di una Regione – la Regione Puglia, che si è inteso mettere a disposizione quale Casa delle Arti e, come la sua stessa definizione suggerisce, “sala di cura”, di ben-essere che scaturisce esclusivamente dall’urgenza ineludibile di rimettere al centro la “persona”, l’“essere umano”.
“Confluenze”, dunque, tra grandi Maestri e giovani Talenti, spesso “stregoni” – come Scialoja definisce Pascali – che è dovere (e interesse) delle istituzioni pubbliche e accademiche far emergere, valorizzare, promuovere, trattenere sul proprio territorio in una “confluenza” virtuosa e generativa con il sistema privato delle Arti, ancora una volta nella prospettiva del recupero dell’“umano”.
“Confluenze”, ancora, tra la Fondazione Pino Pascali, con sede a Polignano a Mare, paese di origine di Pascali, e Bari, il capoluogo di regione, in cui urge dar vita a quel Polo del Contemporaneo che rinverdisca e rinnovi una straordinaria stagione artistica ormai di molti decenni fa e funga soprattutto da catalizzatore di un sistema più vasto a livello territoriale e di cui il Kursaal Santalucia, per il tramite di Pino Pascali e della fondazione regionale a lui dedicata, vuole essere un’anticipazione e un lievito.
“Confluenze”, vieppiù, della Fondazione regionale Pino Pascali e della Regione Puglia con altre prestigiose istituzioni culturali del Paese a partire dalla Fondazione Toti Scialoja, a cui va il nostro più profondo ringraziamento, e da Electa, con cui intendiamo lavorare per moltiplicare le “confluenze” e continuare a sviluppare il posizionamento nazionale e internazionale del ri- nascente sistema del contemporaneo pugliese.
“Confluenze”, in definitiva, quale tratto profondamente distintivo dell’identità “meticcia” della Puglia e delle sue comunità, terra di attraversamenti e contaminazioni, capace di dare il meglio di sé quando ha fatto tesoro del proprio policentrismo e delle proprie diversità, confluendo “umanamente” con l’altro da sé.
Stefano Zorzi
Presidente della Fondazione Pino Pascali
Un quadro in cui tutto si dispiega
Quando il professor Scialoja incontrò un giovane ed entusiasta Pino Pascali nel suo corso di scenografia all’Accademia di Belle Arti di Roma, non poté non cogliere in quell’allievo così “appassionato nel fare” – che tanto caparbiamente aveva voluto intraprendere, contro la volontà dei genitori, un percorso di vita per diventare a tutti i costi un artista – un talento a tutto tondo al quale, era facile immaginarlo, la pratica della materia in sé certamente non bastava.
Aveva notevoli qualità manuali, il giovane Pascali, e non mancherà di metterle in pratica nel seguito della sua vicenda artistica cimentandosi con centine in legno, tele estroflesse e quant’altro, ma rispetto ai tanti si capiva subito che guardava oltre…
E la cosa accomunò senz’altro i due, visto che in quegli stessi anni si collocava anche, ben oltre la scenografia, il percorso di Scialoja nell’arte informale astratta, una lezione che, dall’America, questi aveva a sua volta “importato” in Italia nel corso della sua personale ricerca artistica (e che in questa mostra è ben documentata).
In quegli anni, in Italia, erano nel pieno dell’azione due artisti che sarebbero poi stati unanimemente riconosciuti come i due grandi Maestri dell’arte moderna astratta: Burri e Fontana. Due figure umanamente assai diverse, tanto caratterialmente chiuso e criptico il primo, quanto – oggi diremmo – “social” il secondo, che nella Milano di quegli anni, ai tavolini del celebre caffè Jamaica in Brera, a poca distanza dall’Accademia, dispensava quasi quotidianamente consigli ai giovani artisti che tutti indistintamente vedevano in lui un riferimento.
Forse non tutti sanno però della frequentazione tra i due, che produsse un reciproco acquisto di opere come spesso si usava fare in un’epoca forse più “di galantuomini” della nostra, per comunicarsi, tra sodali dell’arte, reciproca stima.
Ed è pertanto sull’opera di Alberto Burri esposta in mostra (p. 11) che vorrei soffermarmi per le ragioni che ne hanno costituito la scelta e che meglio saranno evidenti nel seguito. Proviene dalla celebre collezione del magnate americano David Thompson e probabilmente si tratta di un lavoro eseguito su commissione in quanto sappiamo che i quadri di tale collezione avevano la peculiarità di essere quadrati (mentre Burri ha sempre preferito il formato rettangolare). Ma a parte questa curiosità, l’aspetto più rilevante sul quale invito a soffermarsi è che con quest’opera è come se l’artista, nel remoto 1954, già ci consegnasse una sorta di manifesto programmatico, una sorta di canovaccio esistenziale della sua futura poetica materica, in un’ideale carrellata di “sezioni” rigorosamente separate in cui ci propone la tela di sacco dipinta, la combustione plastica, il cretto, lo strappo della masonite che diverrà poi la cifra dei suoi grandi cellotex, con la dominante del campo nero opaco che sarà caratteristica del suo successivo ciclo pittorico Annottarsi, oggi esposto nella sua interezza nei grandi essiccatoi del tabacco della Fondazione Burri a Città di Castello. Non può sfuggire infine la potente rottura fisica della superficie, quel grande buco che da protagonista trapassa la fisicità dell’opera con sullo sfondo un rappezzo nero che ne chiude definitivamente l’orizzonte, ne spegne la luce sull’oltre, proprio come Fontana usava fare per “chiudere” i suoi tagli.
E anche a certi Barocchi di Fontana riportano il pensiero i più materici rilievi bianchi, sapientemente posti in prossimità del buco stesso. Un bianco cosi evidentemente in contrasto col nero (lo stesso Scialoja sentirà l’esigenza di utilizzare il termine “bianconero”).
Tutto ciò ci porta a considerare come anche i “grandi” artisti – che nella prospettiva di oggi vediamo come moderni precursori, rispetto al loro tempo, di tematiche o “correnti” varie – esprimano e articolino nel corso della loro vita una semantica e dei linguaggi che probabilmente sin dall’inizio si portavano dentro e che, rispetto ai molti che non riescono ad essere efficaci nel trasmetterlo, sono riusciti ad attualizzare. È questo che li fa sentire a noi contemporanei, ed è probabilmente questo che determina il successo e la sopravvivenza della loro lezione magistrale nel tempo. Spesso una vita non basta per riuscire a tirare fuori tutto ciò che hanno dentro, e il “lavoro” verrà completato dagli allievi e dai seguaci. Questa la genesi di tanti codici innovativi che riescono a superare i comuni riferimenti degli altri protagonisti del loro tempo.
Ho sempre trovato uno sterile esercizio la ricerca di riferimenti degli uni negli altri, il gioco del “chi l’ha fatto prima”, il riconoscimento di una matrice originale primigenia di un linguaggio innovativo che farebbe di un determinato artista un “illuminato” rispetto all’artista della porta accanto – che magari per le sorti della vita rimarrà sconosciuto ai più e non sopravviverà all’immediatezza del suo tempo.
Il professor Scialoja e l’allievo Pino Pascali vivevano e respiravano la stessa aria della Roma di Burri, che a sua volta tanto guardava alla Milano dove, accanto al professor Fontana, muoveva i suoi passi, anche lì, un giovanissimo (e per sempre rimasto tale, come Pascali) Piero Manzoni.
E, probabilmente, ciascuno di loro si alzava la mattina con tutto quel che aveva da dire già in testa…
Che tempi, che Italia…
Arnaldo Colasanti
Presidente della Fondazione Toti Scialoja
L’impegno della Fondazione Toti Scialoja è sì la tutela e la valorizzazione del patrimonio e dell’opera del maestro, ma è, al tempo stesso, lo sforzo impossibile di esaudire i desideri, forse i sogni, che furono dell’artista. Forse il primo fra tutti fu la fortissima intenzione pedagogica di Scialoja. Non mi riferisco solo alla grande attività di maestro presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, ma al fatto che per Toti gli allievi fossero comunque giovani artisti, uomini e donne che partecipavano a pieno al grande sogno dell’arte.
L’incontro con Pino Pascali fu destinale, certamente costituito sul solco profondo della vita che incontra l’arte, più che il contrario. Scialoja, insegnando, pensava all’ordine delle cose che pure dovevano implicare la straordinaria competizione col disordine, con quell’esperienza di astrattismo febbrile che era l’impronta del suo lavoro. E quello che era suo voleva che fosse del giovane artista, non nella prospettiva di un’ideologia imposta ma in quella di una relazione di sorprendenti, inattese, se non amorose, corrispondenze.
Ora che le due Fondazioni si sono ritrovate in un progetto di incontro, confronto e comparazione, ci sembra di dire che il sogno del pedagogo si sia manifestato con tutta evidenza. Nel senso più pregnante: la pedagogia di Toti era ed è una forma di creatività condivisa; è l’ammissione che l’arte senza l’ombra dell’umano sia un’arte a perdere e che, appunto, solo un esercizio perpetuo di esplorazione di se stessi possa permettere al maestro di essere una voce dell’allievo, così come al giovane artista di procurare l’immagine a specchio della piena maturità del suo maestro, reso finalmente in una giovinezza mai consumata.
Giunti a questa mostra, ci piace credere che i due artisti, personaggi essenziali dell’arte italiana del secondo Novecento, stiano offrendo con le loro opere non solo un tratto della storia ma forse una traccia esistenziale che è di piena commozione. Ci sembra di vederli vivi e attivi, l’uno che parla con gioiosa concitazione e il giovane che ascolta, come se la lezione fosse davvero la cosa più bella dell’esistenza.
Giuseppe Teofilo
Direttore artistico della Fondazione Pino Pascali
Pino Pascali Toti Scialoja aggiunge una tappa fondamentale al ciclo di mostre dal titolo Confluenze, il format della Fondazione Pascali dedicato a quelle personalità che, nel corso della loro storia, hanno incrociato la vita, l’opera e la ricerca di Pino Pascali innescando relazioni trasversali e simmetriche congiunture.
L’esposizione ha il pregio di far luce, per la prima volta, sul rapporto tra Pino Pascali e il suo maestro insegnante Toti Scialoja, a partire dal 1955, anno in cui Pascali si iscrive presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, fino al 1968, anno della sua prematura scomparsa.
Con oltre cento opere tra disegni, fotografie, dipinti, installazioni e progetti, la mostra percorre un’ampia gamma di raffronti dedicati ai due grandi protagonisti dell’arte italiana degli anni cinquanta e sessanta.
L’incontro fra Pascali e Scialoja avviene nelle aule dell’Accademia a Roma; titolare della cattedra di scenotecnica, Toti Scialoja insegnava prevalentemente storia dello spettacolo. Nell’anno accademico 1957-58 fu trasferito al corso di bianco e nero dedicato inizialmente al disegno, ma subito riformato in contrapposizione ai rigidi programmi accademici attraverso una proposta didattica anticonvenzionale tra collage e pittura materica.
Pascali è affascinato dalla figura del docente, già affermato artista in quegli anni e grande conoscitore del panorama internazionale; grazie a un soggiorno negli Stati Uniti, Scialoja aveva appreso la lezione del new dada e la sua didattica delineava un’eccezionale opportunità per i giovani allievi, sia nella sperimentazione di nuovi materiali, come il catrame, le colle e gli smalti, sia per il coinvolgimento degli stessi nel fervore creativo di quell’epoca romana, tra mostre cruciali come la personale di Robert Rauschenberg presso La Tartaruga di Plinio de Martiis nel 1958.
Pascali, trascinato da questa molteplicità di stimoli, è il primo tra gli studenti di Scialoja a utilizzare il petrolio, il bitume e i diluenti nitro. Utilizza la benzina, l’olio, la cenere di sigaretta, come anche le garze, le spugne e la sabbia accostate ai pennelli.
Nel corso di un decennio il dialogo fra questi due autori, serrato e autonomo, non conosce interruzioni: l’artista pugliese comincia a staccarsi dalla bidimensionalità del quadro e prendono forma bestiari antinaturalistici e spiazzanti, in un’attitudine giocosa, metafisica e “mediterranea”, derivante dai rispettivi luoghi natii – Procida e Anacapri per Scialoja, Bari e Polignano a Mare per Pascali. Toti Scialoja così parla di Pino Pascali: “come insegnante ho sempre avuto la gioia di muovere le coscienze nella direzione della creatività e poi di vedere nascere degli artisti […]. Per esempio Pascali aveva questa grande passione per il fatto materico, per le materie, per le trasformazioni, per gli interventi chimici. Era un’ossessione personale che lo rendeva affascinante: uno stregone”.
Questa mostra, inoltre, rappresenta il primo passo di una collaborazione ampia e trasversale con la casa editrice Electa orientata alla promozione e alla valorizzazione della figura di Pino Pascali e della sua ricerca.
Un’occasione per riportare Pascali a Bari, sua città natale, all’interno del Kursaal Santalucia, ambiente privilegiato per due autori che partendo proprio dal “teatro” hanno rivoluzionato rispettivamente la didattica e i linguaggi artistici, producendo risultati differenti, ma che hanno modificato il sistema dell’arte italiana e internazionale. La Puglia si appresta a proseguire, attraverso le arti contemporanee, la storia di un luogo iconico che, abbracciando passato e presente, proietta e sostiene il miglior futuro possibile, partendo dall’essenza del topos.
Il nostro intento è, dunque, quello di dare significato alla rinascita di un “nuovo” contenitore con un progetto che va ben oltre la semplice programmazione di un evento: la Fondazione Pino Pascali, insieme ad Electa, nel solco delle iniziative promosse da Regione Puglia punta a destinare il rinnovato e pregevole spazio a Casa delle arti e dei suoni, una rinomata sezione dedicata alle arti visive. Un susseguirsi di iniziative per la città di Bari, che vanta una ricchissima storia legata all’arte contemporanea: basti pensare alle esperienze sperimentali della Galleria Centrosei o di ricerca e mercato con la Galleria Marilena Bonomo ed Expoarte negli anni settanta nel palinsesto della Fiera del Levante; come anche alle prime edizioni del Premio Pino Pascali, le cui mostre furono allestite negli spazi del Castello Svevo (Vettor Pisani, 1970) e della Pinacoteca Provinciale (Vincenzo Agnetti, 1972; Luca Patella, 1976 e Jannis Kounellis, 1978).
Si fa quindi quanto mai impellente la necessità di accogliere questa immensa eredità per poterla condurre verso prospettive future finalizzate a reinserire la Puglia nel novero dei punti di riferimento per l’arte contemporanea, avendo ben presenti le nuove necessità della comunità cittadina a cui ci si rivolge e a cui il teatro Kursaal è stato dopo lungo tempo restituito.
Questa mostra, dunque, coincide con un punto chiaro di partenza in un impegno a lungo termine per la Fondazione Pino Pascali e verso una più ampia strategia che richiederà tempo, risorse, competenze e visioni. Una sfida ardua ma non più procrastinabile per una regione, come la nostra, oramai stabilmente votata alla promozione culturale di qualità.